martedì 11 agosto 2009

Epitaffio del caduto

Ora puoi leggere la mia storia. Da sempre hai aspettato questo momento. Adesso per me questo momento è lungo, interminabile. Fermarsi a pensare. Fermarsi per raccogliere nel pugno delle mani le proprie imprese e gettarle sparse come chicchi di grano fra le trame e la colla. Davanti ai tuoi occhi ti riporteranno, senza riflessi di luce o immagini che si specchiano, il mio destino. Hai atteso questo momento, al solo pensiero le mie giunture vibrano. Lisce. Solitarie. Mi resta poco tempo da vivere. Mi resta il tempo per ciò che non ti ho raccontato. Il tempo per accarezzare per la prima volta i tuoi pensieri. Le immagini mi assalgono, con gli occhi chiusi e le teste aggrovigliate. Sono leggere, loro stesse vento. Le immagini sono madri che non ho mai avuto, madri che tardi hanno aperto le loro bocche. Qui non c’è spazio per la paura. Siamo circondate da invisibili piene di fiumi trasformati in letti sterili. Ci circondano sguardi sorpresi a stupirsi, come cose eccezionali dovessero necessariamente raccontarsi. Per (com) muoverti, qualcuno, qualcosa, compone un aberrante rosario di silenzio fra parole. Una catena di un lungo peregrinare verso il santuario negletto della parola. Hai sempre desiderato storie di imprese di uomini giocolieri e clown, di donne che scrivono pensieri (su tastiere spente).
2003

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